La Depressione Sotto-soglia nell’anziano con insonnia
L’insonnia è un disturbo molto comune e diffuso quasi sempre presente e riferito dai pazienti durante la visita.
È sempre molto importante indagare le caratteristiche quantitative e qualitative del sonno perché molti pazienti hanno la percezione soggettiva di un sonno molto disturbato ma non sempre è inquadrabile all’interno di un Disturbo del Sonno.
La vera insonnia è definita come l’effettiva presenza di un sonno insufficiente o di scarsa qualità.
Insonnia iniziale o terminale a seconda che l’addormentamento sia difficile o che il risveglio al mattino avvenga troppo presto.
Altre volte la difficoltà consiste nel mantenere il sonno con un numero di risvegli eccessivo e sensazione di un sonno poco ristoratore.
Le manifestazioni diurne dell’insonnia sono stanchezza, sonnolenza, difficoltà di concentrazione ed irritabilità.
Può essere episodica o cronica, quest’ultima più complessa da gestire farmacologicamente, tipica nell’anziano.
Brevemente distinguiamo l’insonnia primaria cioè indipendente dalla presenza di altre patologie fisiche o psichiche da quella secondaria cioè conseguente a patologie come ad esempio malattie che generano dolore cronico, patologie internistiche o le apnee notturne.
Nell’anziano l’insonnia è quasi invariabilmente presente e se viene riferita come problema che influisce sulla qualità di vita va attentamente inquadrata all’interno di un quadro clinico caratterizzato dalla possibile presenza di altre patologie e valutata insieme ad altri indici di sofferenza quali il deterioramento cognitivo, l’ansia, l’agitazione psicomotoria e la presenza di sintomi depressivi anche se sfumati o mascherati da sintomi che interessano soprattutto le funzioni del corpo.
Molti studi sulla funzione del sonno hanno approfondito e chiarito i circuiti neuronali coinvolti nei suoi meccanismi neurofisiologici e questo rappresenta un grande passo avanti nella cura dell’insonnia.
Questi circuiti svolgono un’azione inibitoria sul sistema nervoso centrale, favorendo quindi il sonno, e sono regolati da alcuni neurotrasmettitori come l’Acido Gamma Amminobutirrico (GABA), la Serotonina e l’Istamina.
Quali farmaci agiscono sul sonno?
I farmaci più noti, anche ai non addetti ai lavori, che agiscono favorendo il sonno sono indubbiamente le Benzodiazepine, chiamate comunemente ansiolitici.
Questi farmaci agiscono potenziando l’effetto inibitorio del GABA sul sistema nervoso centrale.
Sono gli stessi farmaci che vengono prescritti per controllare i sintomi di ansia.
Le Benzodiazepine sono una classe molto ampia e numerosa di molecole che hanno caratteristiche diverse per quanto riguarda la durata della loro azione e la possibilità o meno di dare luogo a metaboliti attivi, fattore che prolunga la presenza e l’azione delle benzodiazepine nel sangue del paziente.
Per questo motivo sono farmaci che dovrebbero essere utilizzati per breve tempo e con una accurata capacità di scegliere quale molecola è più adatta per il singolo paziente e per il tipo specifico di disturbi del sonno che porta alla nostra attenzione.
Nel paziente anziano, ad esempio, non è indicato prescrivere benzodiazepine a lunga emivita perché queste si accumulano più facilmente anche a causa del metabolismo rallentato tipico dell’età avanzata, da ciò ne consegue una maggiore possibilità di effetti collaterali o paradossi.
In ambito psicogeriatrico questi farmaci possono produrre importanti disturbi cognitivi e deficit di memoria, a volte anche atassia cioè una difficoltà nella coordinazione dei movimenti o talvolta in modo paradossale indurre uno stato di agitazione psicomotoria al posto dell’effetto ansiolitico desiderato.
Sono quindi stati studiati gli effetti sul sonno di altre classi di farmaci che a differenza delle benzodiazepine non danno gli effetti sopracitati e non inducono fenomeni di tolleranza e di dipendenza.
Molto spesso nella pratica clinica vengono utilizzate molecole che nascono come farmaci antidepressivi, dotati quindi di un effetto sul tono dell’umore e sui sintomi ansiosi, che in dosaggi più contenuti hanno un effetto positivo anche sul sonno: questi due farmaci sono il Trazodone e la Mirtazapina.
La Mirtazapina, ad esempio, agisce su recettori dell’Istamina e viene utilizzata per favorire il sonno solitamente con successo.
Anche il Trazodone inibendo alcuni recettori svolge un’azione positiva migliorando i disturbi del sonno e inducendo un bassissimo profilo di effetti collaterali.
Questi due farmaci sono particolarmente utili nel paziente anziano, non causano infatti fenomeni di assuefazione che richiedono un continuo aumento del dosaggio.
Nel paziente anziano il disturbo del sonno è generalmente cronico e va quindi trattato per lungo tempo, inoltre se usati in modo corretto non causano effetti collaterali al risveglio come ad esempio una eccessiva sonnolenza diurna.
Questi due farmaci possono anche essere utili se si vuole impostare un protocollo di sospensione graduale e svezzamento dalle Benzodiazepine.
La Depressione sotto-soglia dell’anziano
Per Depressione Sotto-soglia o Depressione Minore si intendono quelle forme depressive caratterizzate da un minor numero di sintomi, di minore gravità, che non sarebbero sufficienti per porre diagnosi di Depressione Maggiore ma che causano comunque una sofferenza soggettiva e una compromissione del funzionamento sociale.
In alcuni studi risulta che la Depressione Minore abbia una prevalenza fino a 2/3 volte rispetto alla Depressione Maggiore.
Possiamo quindi immaginare l’impatto sia sugli aspetti sociali che clinici di queste condizioni.
Ricordiamo anche che nell’anziano la depressione può manifestarsi con caratteristiche cliniche specifiche diverse da quelle che si osservano nel soggetto adulto e che possono mascherare facilmente la presenza di un episodio depressivo.
I disturbi del sonno sono uno dei sintomi che può prevalere in una depressione senile così come tutta una varietà di sintomi riferiti che riguardano in generale le funzioni del corpo.
Sono sintomi somatici che mascherano uno stato depressivo.
Possono invece essere meno percepiti e meno riferiti i sintomi legati al tono dell’umore, mentre l’ansia è quasi invariabilmente presente e fortemente limitante per il paziente.
Sono frequenti ideazioni ipocondriaca e agitazione psicomotoria.
Durante l’esame psichico è facile rilevare disturbi cognitivi soprattutto di memoria, una parte dei quali è dovuta allo stato depressivo e può migliorare con adeguata terapia.
In questi pazienti spesso concorrono fattori di tipo vascolare o neurodegenerativo a complicare il quadro depressivo.
Nell’anziano la diagnosi di depressione è sottostimata perché si ritiene che le particolari condizioni di vita della età avanzata siano il motivo per la comparsa di una tristezza che viene in qualche modo accettata come normale o al contrario combattuta e contrastata dal contesto famigliare.
A questo proposito molti studi evidenziano come nei soggetti anziani siano invece frequenti le cosiddette Depressione sotto-soglia, quelle cioè dove la gravità dei sintomi e loro numero non è sufficiente per fare diagnosi di Depressione Maggiore ma che comunque influenzano in maniera estremamente negativa un’età già complicata da tanti fattori esistenziali, da malattie fisiche e da esistenza svuotata di energia fisica e di iniziativa e progettualità.
È dunque molto importante nell’ anziano porre attenzione alla eterogeneità dei sintomi espressi in modo da riconoscere delle forme depressive attenuate ma comunque importanti da trattare, non solo perché influenzano negativamente la vita del paziente e di chi si occupa di lui, ma anche perché favoriscono l’insorgenza di alterazioni cognitive ingravescenti.
Il più delle volte accade che il paziente anziano sentendo uno stato di malessere si rivolga al medico di base e questo fa sì che questi pazienti non vengano diagnosticati nel modo giusto e non vengano trattati adeguatamente, perciò è sempre meglio sollecitare i pazienti e i parenti a rivolgersi ad una figura specialistica, uno psichiatra o un geriatra che sapranno come riconoscere e trattare una depressione senile.
Nel paziente anziano, accanto alla prescrizione farmacologica, è essenziale attuare altri interventi di tipo psicosociale e psicoeducativo, soprattutto concentrandosi sulla presenza di un adeguato supporto da parte del contesto di caregivers e aiutando questi pazienti fisiologicamente poveri di iniziativa e spaventati a introdurre nella propria routine quotidiana delle attività che siano di stimolo, sia da un punto di vista fisico che dal punto di vista emotivo e cognitivo.
È davvero rilevante il numero dei pazienti anziani che vengono accompagnati in visita e che spesso non escono di casa da mesi, nonostante da un punto di vista della deambulazione siano perfettamente in grado di farlo, accompagnati e spesso anche da soli.
Pochi mesi di inattività fisica e di deafferentazione da stimoli esterni quotidiani possono davvero portare ad effetti negativi sulla psiche e sul corpo, da cui può essere molto difficile tornare indietro.