Invecchiamento cerebrale e disturbi della memoria

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Invecchiamento cerebrale e disturbi della memoria

 

La maggior parte dei pazienti che vengono in visita per problemi di ansia o di depressione lamenta tra i vari sintomi difficoltà di memoria, riferendo il timore di non “ricordare più nulla”.

A volte si tratta di piccole lacune mnesiche come ad esempio non ricordare dove hanno messo un oggetto, orari di impegni o appuntamenti, i nomi delle persone recentemente conosciute, un numero di telefono o ancora cosa hanno mangiato il giorno prima della visita.

In verità nella maggioranza dei casi, indagando su queste piccole dimenticanze e sulle loro difficoltà di memorizzare e ricordare, non si evidenzia nulla di patologico.

Va infatti segnalato che i pazienti affetti da ansia e depressione possono effettivamente avere un deficit nelle funzioni cognitive: attenzione, concentrazione e memoria ma questi sintomi regrediscono quando lo stato depressivo o ansioso si è risolto.

Per il medico psichiatra che indaga il quadro clinico durante il colloquio è facile comprendere se i deficit sono momentanei e contingenti al momento di difficoltà o se appartengono ad un quadro di natura diversa, solitamente di pertinenza neurologica.

Ciò nonostante, nel vissuto del paziente guarito, rimane spesso la sensazione di avere difficoltà che vengono interpretate come patologiche.

Qualche riflessione e informazione su questo tema si impone, dal momento che la vita media si sta progressivamente allungando e di conseguenza aumenta il numero delle persone anziane, quindi di coloro potenzialmente a rischio di patologie che in effetti influenzano le funzioni della memoria, come ad esempio i diversi tipi di Demenza, malattia tipica dell’età anziana.

Per questo la scienza medica è sempre maggiormente rivolta a segnalare l’importanza di favorire e promuovere un invecchiamento sano e fisiologico. Rallentare e modulare un deterioramento patologico è molto più semplice ed economico che curarlo una volta conclamato.

Anche il cervello, come tutti i nostri organi e apparati, ha una sua curva di maturazione che si completa intorno ai 30 anni e poi inizia inevitabilmente ad invecchiare, va gradualmente incontro ad alterazioni anatomiche e ad una riduzione dell’efficienza delle sue funzioni.

E’ l’ultimo organo a completare il suo sviluppo, pensiamo alle lunghe tappe che il bambino attraversa nella sua crescita e alle competenze neurologiche e neuro-psicologiche che vengono via via acquisite con passare degli anni. Sfortunatamente però è anche il primo che comincia a invecchiare.

Il primo segnale di questo graduale declino è il deficit della capacità di fissare informazioni recentemente acquisite, quella che viene definita come memoria a breve termine.

 

Non necessariamente i disturbi della memoria, se compatibili con l’età biologica, sono indice che il paziente soffre o soffrirà di un deterioramento patologico delle capacità cognitive e intellettive, come nella demenza. Questo specialmente se non vi sono fattori predisponenti come l’ipertensione, il diabete, l’ipercolesterolemia e i disturbi cardiovascolari.

Con il tempo i circuiti della memoria a breve termine diventano meno efficaci e le persone sperimentano qualche difficoltà nel fissare informazioni o richiamare alla memoria eventi recenti, mentre rimane più efficiente la capacità di rievocare avvenimenti vissuti nel passato o informazioni immagazzinate da tempo, la cosiddetta memoria a lungo termine.

Va anche considerato che da adulti, molte informazioni non vengono fissate in modo adeguato perché non prestiamo attenzione alle nostre azioni e al momento presente o per uno stato di sovraccarico di stress legato alla enorme quantità di informazioni che siamo costretti a processare ogni giorno nelle nostre complesse esistenze, soprattutto le richieste di performance a livello lavorativo, condizione sempre più comune.

Esiste una condizione clinica, diciamo borderline tra l’invecchiamento fisiologico e la patologia, chiamata Disturbo Cognitivo Lieve che richiede un approfondimento diagnostico poiché i sintomi, pur non determinando particolari difficoltà nello svolgimento della vita di tutti i giorni, segnalano un deficit lievemente più accentuato rispetto a ciò che ci si aspetterebbe per l’età del paziente.

Questi soggetti dovrebbero essere seguiti e monitorati nel tempo dallo specialista neurologo, in quanto hanno una maggiore possibilità di sviluppare demenza. In questi pazienti è inoltre particolarmente importante diagnosticare e curare le eventuali malattie organiche che facilitano l’insorgenza di una sofferenza cerebrale.

Nel Disturbo Cognitivo Lieve i sintomi sono già obiettivabili, cioè osservabili dall’esterno, per esempio dai famigliari o dal medico e sono rilevabili e misurabili attraverso test neuro-psicologici. I pazienti con questo disturbo possono più frequentemente presentare sintomi psichiatrici, soprattutto depressione, ansia, apatia o irritabilità.

 

Cause dell’invecchiamento cerebrale

 

Innanzitutto va detto che l’invecchiamento è un processo biologico, normale e imprescindibile di tutti gli esseri viventi animali e vegetali.

La sua progressione è geneticamente determinata dal nostro corredo genetico. E’ il nostro DNA che stabilisce la velocità con cui i nostri neuroni muoiono e, di conseguenza, la massa cerebrale si riduce.

Le manifestazioni saranno maggiori e più precoci nei soggetti con una minore riserva cerebrale, sostanzialmente nelle persone che per motivi genetici hanno meno neuroni e una massa cerebrale minore.

Fortunatamente esiste anche una riserva cognitiva, cioè un potenziale che possiamo costruire durante tutta la nostra vita, allenando il cervello attraverso la riflessione, lo studio, leggendo e memorizzando informazioni e facendo esperienze.

Questo potenziale è possibile grazie al fatto che il cervello, diversamente da come si credeva solo pochi anni fa, è dotato di Neuroplasticità, fenomeno per cui la sua struttura anatomica può modificarsi nel tempo, anche in età adulta.

Utilizzando le reti neurali, cioè l’insieme dei neuroni in contatto tra loro, le rendiamo più potenti ed efficienti, promuovendo un aumento delle cellule e delle interconnessioni sinaptiche che le uniscono. Esattamente come accade in un muscolo nel quale, grazie all’allenamento costante, aumenta il numero di fibre muscolari e di conseguenza la sua efficienza funzionale.

Il processo di invecchiamento è però anche modulato epigeneticamente, questo significa che ciò che è scritto nel nostro DNA può avverarsi o meno a seconda di condizioni che influenzano l’espressione dei nostri geni.

Non necessariamente avere un determinato corredo genetico vuole dire che questo si esprima in modo inevitabile e completo. Questo processo può, infatti, essere modulato sia positivamente che negativamente anche attraverso lo stile di vita.

Da ciò deriva l’importanza oramai nota di rispettare comportamenti e di stili di vita sani. Ciò può rallentare la velocità di invecchiamento generale e quindi anche di deterioramento cognitivo senile. Uno stile di vita attivo, sia fisicamente sia mentalmente, riduce la probabilità di andare incontro ad uno stato di invecchiamento patologico e precoce.

Anche l’alimentazione corretta aiuta a prevenire la comparsa di quelle patologie che poi andranno ad influire sulla salute delle cellule nervose. La relazione tra diabete, malattie cardiache, obesità, ipertensione e danno alle cellule cerebrali è oramai scientificamente avvalorata.

Inoltre, alcuni alimenti, soprattutto di origine industriale, addizionati con coloranti o conservanti, possono contenere sostanze con un potenziale tossico sui neuroni.

Una dieta dovrebbe essere ricca in micronutrienti, vitamine e minerali e contenere equilibrate quantità di acidi grassi poli-insaturi: omega3, omega 6.

Gli alcolici, assunti in dosi inadeguate, sono tossici per il sistema nervoso, il fumo è estremamente dannoso in quanto fattore di rischio per lo sviluppo di malattie vascolari che a loro volta possono danneggiare il tessuto nervoso, riducendone l’ossigenazione.

Protettiva è invece l’attività fisica svolta regolarmente e con intensità adeguata, aiuta attraverso molti meccanismi a favorire un invecchiamento sano e graduale.

Un’altra strategia oramai accertata come protettiva è mantenere interessi personali, desideri, una sana progettualità per il futuro e interazioni sociali soddisfacenti e supportive.

 

Training cognitivo

 

Nei pazienti in cui si ravvisa un’effettiva problematica a carico della memoria o di altre funzioni cerebrali superiori quali la concentrazione, l’attenzione, l’orientamento spazio-temporale e lo svolgimento di compiti complessi, si può ricorrere a questo approccio terapeutico che consiste in incontri durante i quali viene effettuata una stimolazione cognitiva. Ciò attraverso esercizi specifici che hanno lo scopo di ravvivare la prontezza del cervello.

Una sorta di ginnastica per i neuroni che può consistere in esercizi di lettura e di memorizzazione di brani, o qualsiasi altra attività che richieda l’impegno della memoria, della attenzione e della concentrazione come il calcolo, le attività creative, la risoluzione di piccoli quesiti di logica.

 

La dott.ssa Cristina SelviPsichiatra a MilanoPsicoterapeuta e Omotossicologa, si occupa di Psichiatria, Psicoterapia e Medicina Omotossicologica per la terapia dell’ansia. Ha fondato lo Studio Psichiatria Integrata al fine di promuovere un approccio integrato  fra varie discipline e metodi, che fornisca alla persona una risposta il più adeguata, più personalizzata e più corretta possibile in un momento di difficoltà della propria vita.

Cristina Selvi

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